heart saluta Agostino Bonalumi
Ho incontrato per la prima volta Agostino Bonalumi qualche anno fa. Me lo ha presentato un amico collezionista, lo stesso che ieri mi ha telefonato per darmi la brutta notizia della sua scomparsa. Andai a trovarlo per chiedergli di poter usare le sue opere e poter parlare di lui in Qui, già, oltre: un progetto sull’arte in Brianza. Mi ricordo quel pomeriggio: ero preoccupata come ben raramente sono in simili occasioni. Mi avevano detto che era un uomo burbero, con le sue idee, difficile da scalfire. Le sue idee, in effetti, le aveva eccome. E anche l’atteggiamento cortese, ma un po’ distaccato di chi ha vissuto e detto molto e non ha voglia di scendere più a compromessi con nessuno. La partenza non è stata delle migliori: l’attitudine critica nei confronti di alcuni colleghi del passato sembrava voler prevalere. Ma dopo pochi minuti di conversazione l’atmosfera è completamente mutata. L’uomo austero e spigoloso che mi aveva accolto si era trasformato in un conversatore straordinario. Ben presto il dialogo si è trasformato in monologo: un monologo fatto di ricordi, aneddoti, memorie… ma anche progetti, idee, speranze per il futuro. Parole che avevano un peso, che suscitavano riflessioni, che lasciavano ampiamente cogliere l’intelligenza, la cultura, lo spessore di un personaggio a tutto tondo, un uomo che all’arte ha dato molto, senza mai risparmiarsi, senza mai nascondersi, senza mai fuggire.

Il motivo per cui ero andata a trovarlo era passato in secondo piano. Il pomeriggio aveva preso una piega diversa, inattesa e straordinaria. Il mio progetto, in effetti, lo approvò solo alla fine dell’incontro: mi diede il suo consenso quando eravamo già sulla scala che conduceva alla porta di casa sua. Come prova che ne aveva davvero compreso e apprezzato lo spirito con cui stavamo portando avanti quel lavoro venne anche alla presentazione del libro a Osnago, cittadina a cui, tra l’altro, era legato per motivi famigliari.

Lo rividi poi in altre occasioni: sempre cortese, sempre pronto alla conversazione, al racconto, sempre schietto e senza mezzi termini nell’esprimere un concetto, nel dare un parere.

Ho sempre amato l’arte degli anni Sessanta. L’ho studiata, approfondita, osservata. La pulizia formale, quella giusta complessità intellettuale, quello spirito di ricerca di molti artisti dell’epoca non smette di affascinarmi. Bonalumi è stato esponente di un mondo oggi scomparso, ha vissuto in una Milano che non c’è più e forse non tornerà mai. Ha contribuito alla nascita di un nuovo modo di pensare all’arte, di fare arte. Con lui scompare un pezzo di storia, si perde un altro frammento di quel meraviglioso mosaico culturale che era Milano in quegli anni.

Le sue opere sono sempre attuali, continuano a parlare, a esprimere un preciso concetto, a tradurre in visione un’idea di spazio e di forma, di luce e di ombra, ben difficile da rendere altrimenti. Attivo fino a pochissimo tempo fa, Bonalumi ancora oggi creava, produceva lavori di straordinaria eleganza, emozionanti, nella loro immediata riconoscibilità.

Per mesi ho pensato che avrei voluto invitarlo allo Spazio heart per fargli presentare le sue poesie. Teneva molto alle sue composizioni poetiche. Durante una conversazione mi disse che per lui erano un mezzo espressivo importantissimo. Avrei voluto averlo a Vimercate, la sua cittadina d’origine, per parlare di poesia e arte. Mi dicevo che sarei andata a trovarlo e gli avrei parlato di questa ipotesi. Purtroppo non ho fatto in tempo.

 

Simona Bartolena

 

 

 

 

 

 

 

Nato a Vimercate nel 1935, Bonalumi è indubitabilmente uno dei grandi protagonisti dell’arte del Novecento. Artista dalla vocazione precoce, a tredici anni ha una sala personale fuori concorso al Premio Nazionale Città di Vimercate e a sedici compare nella sua prima mostra a carattere na- zionale: da allora Bonalumi non ha mai smesso di lavorare, di creare, di fare arte, partecipando attivamente alla vita artistica nazionale e interna- zionale. Negli anni sessanta – a Brera, con Piero Manzoni ed Enrico Castellani – Bonalumi cerca già una via di fuga dall’informale, il genere imperante, il linguaggio da cui tutti sono passati e che è ora il momento di superare. Manzoni sta già lavorando ai suoi Achrome, lui invece è ancora in cerca di una svolta, impegnato in una libera sperimentazio- ne verso una forma sempre più pulita e pura, pen- sa a un modo per restare fedele all’idea di pittura su tela uscendo dalla logica dell’opera come luogo della rappresentazione di qualcosa. Complici l’esempio di Lucio Fontana – che in quegli anni incoraggia i giovani artisti a trovare la propria dimensione – e l’atmosfera stessa del momento storico – un periodo ricco di fermento nell’ambito della creatività – Bonalumi approda già nel 1959- 1960 alle prime opere con superfici monocromati- che a rilievo. Comincia così la ricerca nelle cosid- dette Shaped Canvases e nelle estroflessioni, che caratterizzeranno buona parte dell’opera dell’ar- tista. Anzi, come nota giustamente Marco Mene- guzzo, “la forza dell’invenzione delle tele estro- flesse, di uno spazio invaso dalla pittura e di una pittura che invade lo spazio pur restando pittura, è stata tale che tutto viene letto in funzione di questo nucleo centrale del lavoro, e tutto ciò che esula da questo viene letto come una deviazione dalla ‘giusta via’, persino come un tradimento. Per esempio, il fatto che Bonalumi abbia vissuto più periodi, e realizzato percorsi anche diversi, pur nell’ambito generale di questa ricerca spaziale, è stato talvolta letto come incoerenza perché, paradossalmente, ciò che si richiede a questo tipo di ricerca è la per- fetta uguaglianza a se stessa, la sublime ripetizione (differente), come potrebbe essere quella di Josef Albers e di Enrico Castellani”. Bonalumi, dunque, non ha realizzato sempre la stessa opera, anzi: nel- la sua produzione si osservano sottili variazioni sul tema, che vanno dai rilievi ovali e rotondi alla si- nuosità delle estroflessioni sporgenti, dalle severe geometrie di quelle orizzontali ai ritmi modulati e mossi delle opere degli anni novanta, fino agli ambienti e agli ‘oggetti scultura’. Sono opere in cui i vuoti incontrano i pieni in spazi dinamici ma unitari e rigorosi, assoluti anche nella scelta cromatica (il rosso, il bianco, il blu, il nero...).Come osserva Maurizio Calvesi (Agostino Bonalumi, Roma 2008): “La sua ricerca è lontana dalla monotonia, è rigore di continuità in un discorso che si rinnova a ogni passo, e offre incessanti sussulti all’occhio dell’osservatore, facendo sentire quanta verità di vita non solo intellettuale può esserci in un astrattismo così radicalmente ristrutturato e spa- zialmente ‘totalizzato’”. E in tutto questo rigore, in questa coerenza, egli si lascia comunque un margine di dubbio, si mette ancora in discussione, anche oggi che è artista affermato e riconosciuto a livello internazionale. Rattrista constatare che la terra che gli ha dato i natali non gli abbia ancora reso omaggio come senza dubbio dovrebbe. Forse è anche a causa dell’indole di Bonalumi, come spiega lui stesso in un’intervista rilasciata a Meneguzzo nel 1997 (Agostino Bonalumi, opere 1957-1997, Bergamo 1998): “Personalmente sono un solitario [...] però non avrei voluto essere un isolato, cosa per cui ho effettivamente sofferto sul piano sia professionale che umano: osservi le cose che accadono o sono accadute nel mondo dell’arte e pensi che forse a qualcuna di queste eri arrivato anche tu, ma poi penso che anche Manzoni, con la sua sostanziale, estrema timidezza, era un solitario, e anche Castellani è un solitario, e allora significa che proba- bilmente eravamo destinati a questa solitudine”. Un solitario, certo, ma soprattutto un uomo coerente e determinato. E a sorprendere, dialogando con lui, forse è soprattutto questo: la determina- zione. Rara, e preziosa, è la disciplina mentale cui ogni giorno egli sottopone se stesso e il proprio lavoro, la sua volontà di non scendere mai a patti, di non perdonare (e perdonarsi) alcuna mancanza, alcuna ‘scivolata’, sempre lucido nella sua analisi di cosa davvero sia arte e di cosa non lo sia, nella riflessione sul senso profondo del mestiere di arti- sta. Un atteggiamento che certo ha contribuito a rendere la sua ricerca tanto importante e significativa.

 

Da: Qui, già, oltre. Brianza: terra d’artisti. Silvana editore, 2009