Arte in corso
LA FELICITA' SECONDO ARTURO VERMI
19/05/2017
Arturo Vermi
Un volo poetico

Un progetto nell'ambito de La bellezza resta. e del Festival della Letteratura di Arcore

Mostra organizzata da Associazione heart – pulsazioni culturali
a cura di Simona Bartolena e Armando Fettolini
In collaborazione con Anna Rizzo Vermi e Associazione Arturo Vermi

La mostra propone uno sguardo particolare sulla ricerca di uno dei grandi protagonisti di una delle stagioni più dinamiche e importanti dell’arte italiana del Novecento: Arturo Vermi.
Pur partendo dalle opere più note e conosciute – quali i Diari e le Presenze –, dalle quali il percorso della mostra prenderà avvio, l’esposizione punta i riflettori sulla fase più tarda dell’artista, quella dedicata al tema della ricerca della felicità. Un messaggio di straordinaria attualità cominciato con la distribuzione della rivista L’Azzurro alla Biennale di Venezia del 1976 e mai più abbandonata dall’artista.
Il tema della felicità e dell’esigenza di provare ad affrontare l’esistenza con uno sguardo positivo e gioioso, seppure consapevole, è al centro del progetto La bellezza resta. che da ottobre del 2016 sta promuovendo iniziative culturali di vario genere (da mostre d’arte a spettacoli teatrali a conferenze e dibattiti) pensate per diffondere viralmente questo messaggio. Nell’ambito de La bellezza resta. è prevista una riedizione della rivista L’Azzurro, con la partecipazione del 56 artisti che hanno collaborato alla collettiva del progetto. La presentazione della rivista avverrà in occasione della mostra di Arcore.
L’antologica di Arturo Vermi sarà realizzata in collaborazione con l’Associazione Arturo Vermi e con la vedova dell’artista, Anna Rizzo Vermi, e prevede l’esposizione di opere importanti provenienti sia dalla famiglia che dai principali collezionisti del territorio.

Milano 1962. In una stagione fertile e dinamica, che ha nel capoluogo lombardo uno dei centri nevralgici della cultura europea, un gruppo di artisti inaugura una significativa riflessione sulla pittura come valore espressivo-scritturale. Agostino Ferrari, Ugo La Pietra, Ettore Sordini, Angelo Verga e Arturo Vermi sono i membri di questo sodalizio, dalla storia breve ma intensa: il Gruppo del Cenobio. Nella ferma volontà di restar lontani dalle logiche del mercato, intrecciano le loro diverse storie di artisti per cercare risposte in un’arte segnica, profondamente evocativa, quasi una scrittura privata, in linea, sebbene su binari diversi, con le tendenze d’avanguardia che avevano generato, nei vicoli di Brera, fenomeni come Azimuth o l’arte programmata del Gruppo T.
È la Milano del bar Giamaica, di Lucio Fontana, di Piero Manzoni e delle grandi gallerie, dal Naviglio al Milione, dalla Gianferrari alla Bergamini, dall’Annunciata a Schettini. Una città in cui Vermi, originario di Bergamo, giunge nel 1956, entrando subito in contatto con gli ambienti di Brera. Pittore autodidatta, sceglie inizialmente, come molti altri della sua generazione, il linguaggio all’epoca più diffuso: l’informale. Per completare la formazione umana e artistica, però, è necessario un viaggio a Parigi, nel 1959, dove vivrà un paio d’anni, frequentando artisti come André Bloc e Ossip Zadkine e dove conoscerà Beniamino Joppolo, già fondatore, con Lucio Fontana, del Movimento spazialista. Al rientro a Milano, quando si fa animatore del Gruppo del Cenobio, Vermi è già un artista dalla personalità forte e originale. Sono di questi anni le opere di matrice informale caratterizzate da larghe campiture geometriche di colore, risolte in una tavolozza dagli accenti del bruno e del verde scuro, del rosso cupo e del nero – opere nelle quali si osserva un passaggio lento ma costante verso la semplificazione e la geometrizzazione delle forme –, ma sono dello stesso periodo anche le prime Lapidi e, di conseguenza, i primissimi Diari. Negli anni successivi, con la frequentazione di Lucio Fontana e degli artisti del Quartiere delle Botteghe di Sesto San Giovanni, dove anche Vermi risiede a partire dal 1964, la svolta è definitiva. Abbandonati i retaggi dell’informale, Vermi trova il suo segno: un segno inconfondibile, di straordinaria efficacia, in cui risiede l’essenza stessa della sua ricerca. Innanzi tutto c’è la sua meravigliosa capacità di sintesi: una sintesi perfetta, assoluta, che sa includere in un unico tratto tutta la conoscenza. Nei segni essenziali, ridotti a un unico sicuro gesto, di Vermi si nasconde la memoria collettiva, essi sono luoghi nei quali la dimensione universale incontra quella privata, la vita reale – quella sostanza fisica che Vermi non perderà mai di vista – si apre alla luce eterna dell’oro. Sono i segni reiterati e ossessivi dei Diari, ma anche quelli singoli, esatti, delle Presenze e delle Marine e quelli nervosi, più dinamici e rapidi, dei Paesaggi: tutti vivono nello spazio materialmente circoscritto ma concettualmente infinito della tela abitando l’unico posto che gli è destinato. È sorprendente la perfezione con cui l’artista sceglie la posizione in cui collocare la presenza segnica; in perfetto equilibrio, la composizione trova sempre la propria logica e la giusta armonia.
E poi c’è il tempo. Il tempo scandito dal gesto: un tempo non sempre regolare ma comunque inesorabile. C’è il ritmo del tempo, quello lento della meditazione e quello rapido e sincopato della vita quotidiana Pare di udirne il rumore, un ticchettio perso tra il silenzio del cosmo e il rumore dei bicchieri di un’osteria di Brera.
Come icone contemporanee, le opere di Vermi suggeriscono letture spirituali e trascendenti, pur restando ben ancorate a terra. Il legame profondo con la Natura, con un universo sempre e comunque umano, rende i lavori dell’artista, anche i più essenziali e concettuali, emotivamente coinvolgenti. Quello di Vermi è un uomo che deve imparare a mettere le ali, ma è comunque un uomo: "l’uomo prigioniero della forza di gravità della ignoranza, con la scienza e la cultura mette le ali per proiettarsi nel futuro cosmico", spiega l’artista stesso, "verso un tempo di anni luce, verso la felicità. La felicità quindi è il problema (). Ho cominciato a lavorare per la felicità dando per scontato che l’uomo potrà superare gli ostacoli contingenti e che l’obiettivo sarà raggiunto. () Smettiamo di sentirci colpevoli di essere felici, siamo colpevoli di non esserlo!".
Ogni segno tracciato da Vermi è generato da questa straordinaria capacità di restare leggeri, di voler e saper essere felici. Una felicità che non è mai egoismo, ma che, al contrario, generosamente si spende per gli altri e li contagia, insegnando loro a volare sopra alle contingenze.
Forse l’opera del Vermi è proprio questo: un volo poetico.

(estratto dal testo Un volo poetico di Simona Bartolena)

Biografia Arturo Vermi
Arturo Vermi nasce a Bergamo il 26 marzo 1928. Inizia a lavorare in Pirelli ma nel tempo libero si dedica alla pittura. Nel 1960 compie un viaggio a Parigi. Le sue prime opere sono influenzate dal linguaggio informale, allora molto in voga. Nel 1961 torna a Milano e fonda con Verga, Sordini, Ferrari, La Pietra e Lucìa il Gruppo del Cenobio. Risalgono a questo periodo i suoi primi Diari. La sua ricerca nel segno proseguirà poi con le Presenze e le Marine. Grande protagonista del vivacissimo clima culturale del quartiere di Brera, Vermi frequenta anche le Botteghe di Sesto, altro luogo di riferimento delle avanguardie artistiche dell’epoca. Nel 1967 l’amicizia con Lucio Fontana si consolida e Vermi approfondisce con lui quel concetto di spazio che sarà poi importantissimo nella sua ricerca futura, quando la dimensione cosmica prevale, in opere quali le Piattaforme e 100.000.000 di anni luce, quest’ultimo esposto alla Galleria San Fermo a Milano nel 1973. Il 1975, definito da Vermi anno "Lilit" è di fondamentale importanza per l’elaborazione della sua "proposta di felicità" espressa nel primo numero dell’"Azzurro", rivista pensata per contenere solo buone notizie, che vedrà un secondo numero, distribuito alla Biennale di Venezia, nel 1978. Risale allo stesso periodo il "Manifesto del disimpegno".
Nel 1980 progetta e incide le Sequoie, sorta di tavole dei comandamenti che, l’anno successivo, durante un viaggio in Egitto con Antonio Paradiso e Nanda Vigo, restituirà simbolicamente a Mosè sul monte Sinai. Negli anni successivi nascono i Colloqui e il ciclo Luna-Terra-Sole, che spingono l’artista a riavvicinarsi alla figurazione. La sua ricerca della felicità lo porta a identificare nell’orologio una delle cause principali dei mali dell’umanità. Progetta quindi L’Annologio, un "misuratore di tempo più umano" che si basa sullo scorrere delle stagioni, ma propone anche riflessioni, ancora tristemente attuali e sensibilmente in anticipo sui propri tempi, sulle condizioni del nostro pianeta con opere e azioni quali Com’era bella la Terra. Arturo Vermi muore a Paderno d’Adda (Lecco) il 10 ottobre 1988.